Nominato ai prossimi Premi Oscar in 5 categorie tra cui
Miglior Film e Miglior Attore Protagonista, La Teoria del Tutto (The Theory Of
Everything) è la storia di Jane e Stephen Hawking.
Più che del lavoro del
cosmologo più famoso al mondo, il film ripercorre la storia matrimoniale di
Stephen e delle difficoltà della vita domestica dovute alla malattia.
La Teoria del Tutto, diretta da James Marsh, è l'adattamento cinematografico della
biografia Verso l'infinito (Travelling to Infinity: My Life With Stephen),
scritta da Jane Wilde Hawking, ex-moglie del fisico. Con un punto di vista più
orientato verso Jane, infatti, la storia comincia quando i due si incontrano durante
una festa in quel di Cambridge nel 1963 e si dispiega attraverso gli anni travagliati
eppure felici del matrimonio.
E’ un film molto intimo che ci permette, grazie all’incredibile
interpretazione di Eddie Redmayne,vincitore tra l'altro del Golden Globe, di conoscere la persona dietro il
personaggio pubblico: Stephen, venuto a conoscenza della malattia motoneuronale
che lo avrebbe tenuto in vita, a detta dei medici, per soli due anni, viene
scaraventato fuori dalla depressione da Jane, che, con forza e determinazione,
inizia a prendersi cura dell’uomo che sarà suo marito per oltre 25 anni.
Conosciamo le dinamiche familiari della coppia, il senso dell’umorismo di lui,
la voglia di continuare a lavorare, l’illusione di un’esistenza normale, l’amore
di lei e successivamente il peso che una malattia degenerativa comporta e la
perdita della certezza che fino a qualche anno prima era inconfutabile.
Non è
questo, ovviamente, il luogo adatto per poter giudicare le scelte personali dei
due protagonisti: sappiamo, infatti, che il fisico e Jane divorziarono nel 1991
e nel 1995 convolò nuovamente a nozze con l’allora infermiera personale Elaine
Mason interpretata da Maxine Peake. Jane, d’altra parte sposò Jonathan Hellyer
Jones, insegnante di musica, che si
inserì pian piano nella famiglia Hawking prima dell’arrivo di Elaine.
E’ certamente una pellicola sincera, commovente, toccante
e, da un punto di vista soggettivo, esemplare: da parte di Stephen, la
determinazione di un uomo distrutto fisicamente, accompagnato nei suoi successi
lavorativi da una donna che lo ha, semplicemente, allontanato, alcune volte
anche prepotentemente, dall’abisso: Felicity Jones con la sua intensa
interpretazione è in lizza tra le candidate all’Oscar per Miglior Attrice
Protagonista.
Unica pecca del film, è probabilmente l’aver messo in
secondo piano il lavoro dello scienziato, trattato solamente in piccola parte
nella parte iniziale del film e non approfondito del tutto: da questo punto di
vista, il film per la tv del 2006, Hawking, che vede protagonista il
concorrente all’Oscar per The Imitation Game, Benedict Cumberbatch, è più
esplicativo.
La fotografia che gioca su primi piani, in alcune scene un
po’ ricorda i filmini amatoriali in pellicola, dando così un’atmosfera retrò a
tutto il film. L’intensa e bellissima colonna sonora, vincitrice del Golden
Globe, scritta da Johann Jòhansson, accompagnano le sequenze della Teoria del
Tutto amalgamandole in un’elegante danza che trasporta lo spettatore all’interno
della storia. Inoltre se ci si fa caso, è possibile notare un accenno alla
colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso di Ennio Morricone nel brano The
Wedding: che sia un riferimento voluto o meno, di sicuro non può che arricchire
una soundtrack perfetta per il film in questione.
Stephen Hawking ha apprezzato il film e sulla sua pagina
Facebook ha scritto:
“Watching
the The Theory of Everything Movie at the London premiere last night was an
intense emotional experience for me. It is perhaps the closest I will come to
time travel. Based on Jane's book, it follows our life together exploring the
mysteries of the universe. I enjoyed watching it with my family and friends,
and I hope audiences around the world enjoy it as well. –SH”
Inoltre, congratulandosi per l’interpretazione eccezionale di Eddie
Redmayne scrive:
“Congratulations
to Eddie Redmayne on his winning the Golden Globes Award for Best Actor in The
Theory of Everything Movie. He looked like me, acted like me, and had my sense
of humor. –SH”
Sono stati assegnati, questa notte, al Beverly Hilton Hotel di Los Angeles i 72esimi Golden Globes per categorie cinematografiche e televisive. La serata è stata condotta per la terza ed ultima volta dall'irriverente duo Tina Fey/Amy Poehler.
Qui di seguito, tutte le nominations e i vincitori in grassetto:
Dopo
aver visto l'ultimo capitolo della trilogia, a mezzanotte di martedì 16 Dicembre
nell'ambito della grande maratona Hobbit, decisi che prima di commentarlo lo
avrei rivisto soprattutto per poter avere una visione d'insieme dell'intera
saga, non facendomi coinvolgere totalmente dalle emozioni che la prima aveva
suscitato.
La
Battaglia delle Cinque Armate si apre esattamente nell'istante in cui si
conclude La Desolazione di Smaug*. Forse, ancora di più rispetto allo stacco tra
Un Viaggio Inaspettato* e il film successivo, sembra ci si trovi davanti ad un
unico grande lungometraggio.
*Potere leggere le recensioni del primo e secondo film nel sito di cinema Cinematographe.it
Quando,
nel 2012, Un Viaggio Inaspettato era ancora in post-produzione, Peter Jackson
assieme al gruppo di produttori, in particolare Fran Walsh e Philippa Boyens,
pensarono di poter realizzare una trilogia usufruendo del vasto materiale
Tolkenieno presente nelle appendici del Signore degli Anelli. Il previsto
Andata e Ritorno lasciò quindi il posto alla Desolazione di Smaug prima e La
Battaglia delle Cinque armate poi.
Questo
ultimo capitolo è, in durata, il più corto dei tre ed è un doppio anello che
chiude non solo la nuova trilogia, ma funge da conclusione e collegamento
perfetto con l'esalogia Jacksoniana.
Anche
se non necessario, viene spontaneo paragonare Lo Hobbit al Signore degli
Anelli. Nella nuova trilogia, ci sono molte citazioni alla vecchia e la regia
di Peter Jackson appare chiara più volte. Non per questo Lo Hobbit è una mera
fotocopia della sua progenie, ben altro, se ne discosta in giusta misura
rendendolo a sua volta un prodotto unico: in primo luogo nei toni del racconto,
molto più leggeri rispetto al manoscritto più famoso del professore (Lord of
The Rings). Eppure La Battaglia delle cinque armate, come Il Ritorno del Re, è
tanto risolutivo quanto epico seppur in maniera diversa. C'è molta intimità ed
interiorità, e la trama orizzontale è intervallata da profondi momenti in cui
un personaggio si dischiude allo spettatore.
Notevole
ed affascinante è il percorso psicologico di Thorin Scudodiquercia, interpretato
magistralmente da Richard Armitage. La sua scena essenziale, che si colloca
prima della battaglia finale, è un'autentica distruzione e rinascita mentale,
nonchè probabilmente una delle migliori rappresentazioni del suo personaggio.
A
tenergli testa, ancor prima del protagonista, è il Re degli Elfi Silvani: il
Thranduil di Lee Pace è determinato a riappropriarsi di ciò che pensa essere
suo, ed è molto più simile a Thorin di quanto non si creda; anche il suo
percorso narrativo è interessante ed è magnificamente interpretato dall'attore
che lo impersona.
Grande
rivelazione e gioiello della trilogia e in particolare del film conclusivo è lo
Hobbit in persona: Martin Freeman. L'attore inglese, ormai a suo agio nei panni
di Bilbo Baggins, ci mostra uno hobbit radicalmente cambiato rispetto alla
partenza con la compagnia dei nani di Erebor: non solo ha trovato il coraggio e
la determinazione nell'affrontare i nemici e gli amici, ma la sicurezza
interiore e quella voglia di avventura che inizialmente sembrava impossibile da
raggiungere. E Martin Freeman non si serve solo di parole per esprimere un’emozione
o un turbamento: è sufficiente perdersi nelle sue espressioni facciali e
sguardi per poter cogliere ciò che passa per la testa allo hobbit.
Non vanno dimenticati gli altri
importanti membri del cast tutti perfettamente incastonati come fili
intrecciati di una grande tela. Oltre alle garanzie sempre in ottima forma come
Ian McKellen/Gandalf, Cate Blanchett/Galadriel o ancora Orlando Bloom/Legolas,
sono da citare in particolare Luke Evans/Bard l’Arciere, portavoce degli
uomini, tanto leader quanto padre di famiglia (maestosa la scena in cui lo vede
fronteggiarsi contro Smaug), e Ryan Gage, il subdolo e stupido Alfrid, braccio
destro del Governatore di Pontelagolungo, ci regala un’interpretazione tanto
fastidiosa quanto geniale per il personaggio in questione.
I 149 minuti si sviluppano
senza giri di parole: la battaglia è vicina e le pedine si posizionano attorno
al campo di battaglia. La guerra, che sembra dilungarsi, in realtà utilizza il
tempo necessario per districarsi e quindi concludersi. La Battaglia delle
cinque armate che si fronteggiano tra le rovine della città di Dale e la
Montagna Solitaria è ben lontana dalla grandezza dell’enorme scontro finale nel
Ritorno del Re, ma certamente non meno epica. Elfi, nani, uomini, orchi ed
aquile combattono e lo spettacolo visivo dell’HFR 3D ti trasporta letteralmente
all’interno del conflitto.
I sentimenti non mancano: c’è
amicizia, fratellanza, famiglia, amore: l’introduzione del personaggio di
Tauriel, l’elfa interpretata da Evangeline Lilly, in una storia prevalentemente
maschile, non denaturalizza la storia originale, ma la arricchisce con una
componente romantica tutt’altro che sterile.
La Battaglia delle Cinque
Armate è la degna conclusione di una trilogia realizzata con anima e cuore.
Peter Jackson, da grande fan quale è, ha raggiunto l’obiettivo prefissato:
soddisfare il fan di Tolkien e delle vicende nella Terra di Mezzo prima della
Guerra per l’Unico Anello. C’è riuscito nella sua prima trilogia e c’è riuscito
anche qui.
Ovviamente i tre film non sono
esenti da difetti di forma e/o scelte non necessarie prese esclusivamente per
esigenze cinematografiche, ma è innegabile la passione messa non solo dal
regista, ma da tutta la crew che ha lavorato per anni a Lo Hobbit.
A tal proposito consiglio a
tutti gli appassionati, la visione dei contenuti speciali delle edizioni
estese: è incredibile vedere la lavorazione dei film, le riprese, la cura dei
dettagli dei piccoli oggetti e delle grandi scenografie, i concept artistici,
il suono, gli stupefacenti effetti speciali e tanto altro ancora.
Probabilmente questa trilogia
non sarà ricordata come la sua precedente, la cui fama è cresciuta negli anni,
e non è necessariamente un male. Il grande plauso che diamo a Lo Hobbit è anche
il ringraziamento per averci riportato nella Terra di Mezzo, per averci fatto
conoscere nuovi straordinari personaggi e fatti reincontrare altri, tanto
amati, averci fatto vivere una grandissima ed emozionante avventura.
Parlare di una pellicola del genere senza svelare nulla è arduo.
Che cosa rende L'amore Bugiardo un film unico?
Un accurato dettaglio psicologico dei due personaggi principali in prima linea. Questa è sicuramente una storia d'amore, ma decisamente diversa dalle mille e mille viste in altrettanti film. Il matrimonio non è mai come ci viene fatto credere e le persone non sono mai come ci appaiono al di fuori.
Le due ore e trenta minuti ruotano attorno alla scomparsa di Amy Dunne, moglie di Nick, il giorno del loro quinto anniversario di matrimonio. Tutti gli indizi sembrano portare alla conclusione che Nick sia il responsabile dell'occultamento della donna.
La pellicola, che viene diretta in maniera ineccepibile e con straordinaria accuratezza, viene sviluppata attraverso tre punti di vista: quello esterno, che ci racconta ciò che accade dal momento in cui la donna scompare, e due punti di vista interni, quello di Nick e quello di Amy, giocando su flashback dapprima onirici, poi spiazzanti e rivelatori.
L'obiettiva lunghezza di Gone Girl di certo non pesa allo spettatore che rimane impietrito e curioso dalla prima all'ultima scena. C'è una minuzia psicologica e narrativa così precisa, da rendere la visione del film quasi disturbante e morbosa. Un grande plauso va quindi, non solo a David Fincher e alla sceneggiatura della stessa autrice del romanzo, ma soprattutto ai protagonisti della storia: Ben Affleck, ben assestato nella parte del marito dal carattere caleidoscopico e Rosamund Pike, la moglie misteriosa, che ci regala un'interpretazione veramente da Oscar, basta guardare soltanto il suo sguardo per rimanere estasiati ed attratti dall'incredibile bravura dell'attrice britannica.
E' un viaggio interiore nella vita matrimoniale della coppia. Un viaggio che distrugge la corazza dell' un amore perfetto e romantico e porta in superficie ciò che di marcio può nascere nella mente di due persone che mentono non solo a se stessi, pur consapevoli e perdurando per mantenere all'esterno il ritratto della coppia felice.
Non solo, Gone Girl, ci mette di fronte alla dura realtà: quante coppie possono dire di amarsi e fidarsi reciprocamente davvero? Quanto può essere manipolatore il ritratto che i media possono dare di noi?
Parlare ancora dell'amore bugiardo senza svelarne la trama diventa certamente difficile. E' un film che va visto, vissuto e fagocitato.
Fortemente consigliato, cosa aspettate a prenotare un posto nel vostro cinema di fiducia?