Ci siamo, il viaggio è
concluso. Cosa resta?
Dopo
aver visto l'ultimo capitolo della trilogia, a mezzanotte di martedì 16 Dicembre
nell'ambito della grande maratona Hobbit, decisi che prima di commentarlo lo
avrei rivisto soprattutto per poter avere una visione d'insieme dell'intera
saga, non facendomi coinvolgere totalmente dalle emozioni che la prima aveva
suscitato.
La
Battaglia delle Cinque Armate si apre esattamente nell'istante in cui si
conclude La Desolazione di Smaug*. Forse, ancora di più rispetto allo stacco tra
Un Viaggio Inaspettato* e il film successivo, sembra ci si trovi davanti ad un
unico grande lungometraggio.
Quando,
nel 2012, Un Viaggio Inaspettato era ancora in post-produzione, Peter Jackson
assieme al gruppo di produttori, in particolare Fran Walsh e Philippa Boyens,
pensarono di poter realizzare una trilogia usufruendo del vasto materiale
Tolkenieno presente nelle appendici del Signore degli Anelli. Il previsto
Andata e Ritorno lasciò quindi il posto alla Desolazione di Smaug prima e La
Battaglia delle Cinque armate poi.
Questo
ultimo capitolo è, in durata, il più corto dei tre ed è un doppio anello che
chiude non solo la nuova trilogia, ma funge da conclusione e collegamento
perfetto con l'esalogia Jacksoniana.
Anche
se non necessario, viene spontaneo paragonare Lo Hobbit al Signore degli
Anelli. Nella nuova trilogia, ci sono molte citazioni alla vecchia e la regia
di Peter Jackson appare chiara più volte. Non per questo Lo Hobbit è una mera
fotocopia della sua progenie, ben altro, se ne discosta in giusta misura
rendendolo a sua volta un prodotto unico: in primo luogo nei toni del racconto,
molto più leggeri rispetto al manoscritto più famoso del professore (Lord of
The Rings). Eppure La Battaglia delle cinque armate, come Il Ritorno del Re, è
tanto risolutivo quanto epico seppur in maniera diversa. C'è molta intimità ed
interiorità, e la trama orizzontale è intervallata da profondi momenti in cui
un personaggio si dischiude allo spettatore.
Notevole
ed affascinante è il percorso psicologico di Thorin Scudodiquercia, interpretato
magistralmente da Richard Armitage. La sua scena essenziale, che si colloca
prima della battaglia finale, è un'autentica distruzione e rinascita mentale,
nonchè probabilmente una delle migliori rappresentazioni del suo personaggio.
A
tenergli testa, ancor prima del protagonista, è il Re degli Elfi Silvani: il
Thranduil di Lee Pace è determinato a riappropriarsi di ciò che pensa essere
suo, ed è molto più simile a Thorin di quanto non si creda; anche il suo
percorso narrativo è interessante ed è magnificamente interpretato dall'attore
che lo impersona.
Grande
rivelazione e gioiello della trilogia e in particolare del film conclusivo è lo
Hobbit in persona: Martin Freeman. L'attore inglese, ormai a suo agio nei panni
di Bilbo Baggins, ci mostra uno hobbit radicalmente cambiato rispetto alla
partenza con la compagnia dei nani di Erebor: non solo ha trovato il coraggio e
la determinazione nell'affrontare i nemici e gli amici, ma la sicurezza
interiore e quella voglia di avventura che inizialmente sembrava impossibile da
raggiungere. E Martin Freeman non si serve solo di parole per esprimere un’emozione
o un turbamento: è sufficiente perdersi nelle sue espressioni facciali e
sguardi per poter cogliere ciò che passa per la testa allo hobbit.
Non vanno dimenticati gli altri
importanti membri del cast tutti perfettamente incastonati come fili
intrecciati di una grande tela. Oltre alle garanzie sempre in ottima forma come
Ian McKellen/Gandalf, Cate Blanchett/Galadriel o ancora Orlando Bloom/Legolas,
sono da citare in particolare Luke Evans/Bard l’Arciere, portavoce degli
uomini, tanto leader quanto padre di famiglia (maestosa la scena in cui lo vede
fronteggiarsi contro Smaug), e Ryan Gage, il subdolo e stupido Alfrid, braccio
destro del Governatore di Pontelagolungo, ci regala un’interpretazione tanto
fastidiosa quanto geniale per il personaggio in questione.
I 149 minuti si sviluppano
senza giri di parole: la battaglia è vicina e le pedine si posizionano attorno
al campo di battaglia. La guerra, che sembra dilungarsi, in realtà utilizza il
tempo necessario per districarsi e quindi concludersi. La Battaglia delle
cinque armate che si fronteggiano tra le rovine della città di Dale e la
Montagna Solitaria è ben lontana dalla grandezza dell’enorme scontro finale nel
Ritorno del Re, ma certamente non meno epica. Elfi, nani, uomini, orchi ed
aquile combattono e lo spettacolo visivo dell’HFR 3D ti trasporta letteralmente
all’interno del conflitto.
I sentimenti non mancano: c’è
amicizia, fratellanza, famiglia, amore: l’introduzione del personaggio di
Tauriel, l’elfa interpretata da Evangeline Lilly, in una storia prevalentemente
maschile, non denaturalizza la storia originale, ma la arricchisce con una
componente romantica tutt’altro che sterile.
La Battaglia delle Cinque
Armate è la degna conclusione di una trilogia realizzata con anima e cuore.
Peter Jackson, da grande fan quale è, ha raggiunto l’obiettivo prefissato:
soddisfare il fan di Tolkien e delle vicende nella Terra di Mezzo prima della
Guerra per l’Unico Anello. C’è riuscito nella sua prima trilogia e c’è riuscito
anche qui.
Ovviamente i tre film non sono
esenti da difetti di forma e/o scelte non necessarie prese esclusivamente per
esigenze cinematografiche, ma è innegabile la passione messa non solo dal
regista, ma da tutta la crew che ha lavorato per anni a Lo Hobbit.
A tal proposito consiglio a
tutti gli appassionati, la visione dei contenuti speciali delle edizioni
estese: è incredibile vedere la lavorazione dei film, le riprese, la cura dei
dettagli dei piccoli oggetti e delle grandi scenografie, i concept artistici,
il suono, gli stupefacenti effetti speciali e tanto altro ancora.
Probabilmente questa trilogia
non sarà ricordata come la sua precedente, la cui fama è cresciuta negli anni,
e non è necessariamente un male. Il grande plauso che diamo a Lo Hobbit è anche
il ringraziamento per averci riportato nella Terra di Mezzo, per averci fatto
conoscere nuovi straordinari personaggi e fatti reincontrare altri, tanto
amati, averci fatto vivere una grandissima ed emozionante avventura.
Grazie,
Farewell.
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