domenica 4 gennaio 2015

LO HOBBIT: La Battaglia delle Cinque Armate - La conclusione del viaggio.

Ci siamo, il viaggio è concluso. Cosa resta?

Dopo aver visto l'ultimo capitolo della trilogia, a mezzanotte di martedì 16 Dicembre nell'ambito della grande maratona Hobbit, decisi che prima di commentarlo lo avrei rivisto soprattutto per poter avere una visione d'insieme dell'intera saga, non facendomi coinvolgere totalmente dalle emozioni che la prima aveva suscitato.



La Battaglia delle Cinque Armate si apre esattamente nell'istante in cui si conclude La Desolazione di Smaug*. Forse, ancora di più rispetto allo stacco tra Un Viaggio Inaspettato* e il film successivo, sembra ci si trovi davanti ad un unico grande lungometraggio.

*Potere leggere le recensioni del primo e secondo film nel sito di cinema Cinematographe.it

Quando, nel 2012, Un Viaggio Inaspettato era ancora in post-produzione, Peter Jackson assieme al gruppo di produttori, in particolare Fran Walsh e Philippa Boyens, pensarono di poter realizzare una trilogia usufruendo del vasto materiale Tolkenieno presente nelle appendici del Signore degli Anelli. Il previsto Andata e Ritorno lasciò quindi il posto alla Desolazione di Smaug prima e La Battaglia delle Cinque armate poi.
Questo ultimo capitolo è, in durata, il più corto dei tre ed è un doppio anello che chiude non solo la nuova trilogia, ma funge da conclusione e collegamento perfetto con l'esalogia Jacksoniana.



Anche se non necessario, viene spontaneo paragonare Lo Hobbit al Signore degli Anelli. Nella nuova trilogia, ci sono molte citazioni alla vecchia e la regia di Peter Jackson appare chiara più volte. Non per questo Lo Hobbit è una mera fotocopia della sua progenie, ben altro, se ne discosta in giusta misura rendendolo a sua volta un prodotto unico: in primo luogo nei toni del racconto, molto più leggeri rispetto al manoscritto più famoso del professore (Lord of The Rings). Eppure La Battaglia delle cinque armate, come Il Ritorno del Re, è tanto risolutivo quanto epico seppur in maniera diversa. C'è molta intimità ed interiorità, e la trama orizzontale è intervallata da profondi momenti in cui un personaggio si dischiude allo spettatore.



Notevole ed affascinante è il percorso psicologico di Thorin Scudodiquercia, interpretato magistralmente da Richard Armitage. La sua scena essenziale, che si colloca prima della battaglia finale, è un'autentica distruzione e rinascita mentale, nonchè probabilmente una delle migliori rappresentazioni del suo personaggio.
A tenergli testa, ancor prima del protagonista, è il Re degli Elfi Silvani: il Thranduil di Lee Pace è determinato a riappropriarsi di ciò che pensa essere suo, ed è molto più simile a Thorin di quanto non si creda; anche il suo percorso narrativo è interessante ed è magnificamente interpretato dall'attore che lo impersona.
Grande rivelazione e gioiello della trilogia e in particolare del film conclusivo è lo Hobbit in persona: Martin Freeman. L'attore inglese, ormai a suo agio nei panni di Bilbo Baggins, ci mostra uno hobbit radicalmente cambiato rispetto alla partenza con la compagnia dei nani di Erebor: non solo ha trovato il coraggio e la determinazione nell'affrontare i nemici e gli amici, ma la sicurezza interiore e quella voglia di avventura che inizialmente sembrava impossibile da raggiungere. E Martin Freeman non si serve solo di parole per esprimere un’emozione o un turbamento: è sufficiente perdersi nelle sue espressioni facciali e sguardi per poter cogliere ciò che passa per la testa allo hobbit.
Non vanno dimenticati gli altri importanti membri del cast tutti perfettamente incastonati come fili intrecciati di una grande tela. Oltre alle garanzie sempre in ottima forma come Ian McKellen/Gandalf, Cate Blanchett/Galadriel o ancora Orlando Bloom/Legolas, sono da citare in particolare Luke Evans/Bard l’Arciere, portavoce degli uomini, tanto leader quanto padre di famiglia (maestosa la scena in cui lo vede fronteggiarsi contro Smaug), e Ryan Gage, il subdolo e stupido Alfrid, braccio destro del Governatore di Pontelagolungo, ci regala un’interpretazione tanto fastidiosa quanto geniale per il personaggio in questione.



I 149 minuti si sviluppano senza giri di parole: la battaglia è vicina e le pedine si posizionano attorno al campo di battaglia. La guerra, che sembra dilungarsi, in realtà utilizza il tempo necessario per districarsi e quindi concludersi. La Battaglia delle cinque armate che si fronteggiano tra le rovine della città di Dale e la Montagna Solitaria è ben lontana dalla grandezza dell’enorme scontro finale nel Ritorno del Re, ma certamente non meno epica. Elfi, nani, uomini, orchi ed aquile combattono e lo spettacolo visivo dell’HFR 3D ti trasporta letteralmente all’interno del conflitto.



I sentimenti non mancano: c’è amicizia, fratellanza, famiglia, amore: l’introduzione del personaggio di Tauriel, l’elfa interpretata da Evangeline Lilly, in una storia prevalentemente maschile, non denaturalizza la storia originale, ma la arricchisce con una componente romantica tutt’altro che sterile.



La Battaglia delle Cinque Armate è la degna conclusione di una trilogia realizzata con anima e cuore. Peter Jackson, da grande fan quale è, ha raggiunto l’obiettivo prefissato: soddisfare il fan di Tolkien e delle vicende nella Terra di Mezzo prima della Guerra per l’Unico Anello. C’è riuscito nella sua prima trilogia e c’è riuscito anche qui.
Ovviamente i tre film non sono esenti da difetti di forma e/o scelte non necessarie prese esclusivamente per esigenze cinematografiche, ma è innegabile la passione messa non solo dal regista, ma da tutta la crew che ha lavorato per anni a Lo Hobbit.
A tal proposito consiglio a tutti gli appassionati, la visione dei contenuti speciali delle edizioni estese: è incredibile vedere la lavorazione dei film, le riprese, la cura dei dettagli dei piccoli oggetti e delle grandi scenografie, i concept artistici, il suono, gli stupefacenti effetti speciali e tanto altro ancora.



Probabilmente questa trilogia non sarà ricordata come la sua precedente, la cui fama è cresciuta negli anni, e non è necessariamente un male. Il grande plauso che diamo a Lo Hobbit è anche il ringraziamento per averci riportato nella Terra di Mezzo, per averci fatto conoscere nuovi straordinari personaggi e fatti reincontrare altri, tanto amati, averci fatto vivere una grandissima ed emozionante avventura.

Grazie,

Farewell. 


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